il pastiche

Naturalmente non ho la pretesa di essere esaustiva, ma solo di fornire alcune nozioni che incuriosiscano soprattutto i non addetti ai lavori.

Pastiche è una parola francese che deriva a sua volta dall’italiano “pasticcio”, nell’accezione culinaria di pietanza in cui si mescolano alimenti diversi, e significa un’opera artistica (letteraria, artistica o musicale) in cui l’autore ha deliberatamente imitato lo stile di un altro o di altri autori, ovvero una miscellanea di generi diversi in un’unica opera.

Il termine è stato usato probabilmente per la prima volta da Théophile Gautier: “Si pour donner l’idée d’un peintre inconnu à Paris, nous avons été obligés de chercher des analogues, ne croyez pas pour cela au pastiche.” (= se per dare l’idea di un pittore sconosciuto a Parigi, siamo stati obbligati a cercare degli stili analoghi, non crediate che il risultato sia un “pasticcio”).

Per fermarci solo agli esempi letterari illustri, nell”800 Marcel Proust scrive Pastiches et mélanges imitando alla perfezione lo stile di scrittori come Flaubert e Balzac e all’inizio del ‘900 James Joyce si misura con un pastiche preraffaellita nella raccolta poetica Chamber music. Tra gli scrittori postmoderni, Thomas Pinchon in Mason & Dixon fa il verso all’inglese del ‘700 in particolare di Swift; in Fuoco nella polvere lo scrittore texano Joe R. lansdale rende omaggio alla letteratura di genere, ai romanzi pulp e a tutti quei libri che deve aver divorato da ragazzino; Pablo Echaurren pittore, disegnatore, fumettista e autore del giallo Delitto d’autore dice di sé: “Cerco di far dialogare livelli diversi, alto & basso, citazioni dotte con musiche stridenti provenienti da chitarre rotte scassate, punk. Ascendenze gaddiane con discendenze ramoniane (dai Ramones).” Potrebbero rientrare nella definizione anche i sequel di serie B degli Sherlock Holmes et similia, ma ne taccio volentieri.

Comunque, volendo portare il discorso alle sue estreme conseguenze, il primo vero pastiche è proprio il romanzo, dal Satyricon di Petronio in poi. Sì, perché la forza prorompente di questo nuovo genere, è quella di essere un “contenitore” di qualunque cosa l’autore volesse, dal teatro, superandone i limiti costruttivi scenografici, alla poesia, all’epistola.

Il pastiche quindi si fa interprete di questa rivoluzione del romanzo, della sua prima funzione di divertissement, giocando con la tradizione letteraria e con i propri lettori. In questo senso – e qui parlo della mia poetica – non allontana dalla trama centrale, ma è esso stesso trama. E’ un come, ma è anche un cosa e nel caso di Che minchione le formiche! è lo stile di racconto del narratore Belfagor.

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