recensione della ali

ALI – Agenzia Letteraria Internazionale

[…] L’autrice riesce in un primo momento ad incuriosire il lettore e ad attrarlo in una vicenda originale, dove il registro grottesco e quello ironico sono, almeno inizialmente, sapientemente usati, miscelati, dosati. Lo spunto è veramente inusuale, il ritmo incalzante e, almeno per una trentina di pagine, l’attenzione è vigile e il testo si legge volentieri, con curiosità e divertimento. Si ha voglia di proseguire e ci si chiede come andrà avanti la storia, e dove andrà “a parare” una vicenda raccontata da un punto di vista tanto inconsueto.

Tuttavia in seguito si ha la sensazione che il divertimento “prenda la mano” all’autore, il compiacimento e il desiderio di cimentarsi con stili e registri diversi (teatrale, poetico, espedienti grafici, tiritere, canzonette…) prevalga decisamente sui contenuti e sull’unità dell’opera. Sembra quasi che chi scrive metta se stesso continuamente alla prova e si chieda se è in grado di scrivere (e descrivere) in molti modi e generi apparentemente lontani. Una sorta di scrittura “dimostrativa” e in qualche misura sperimentale che non solo non convince, ma alla lunga disturba, frammenta inutilmente il testo e lo danneggia. Non si può dire che all’autrice manchino l’abilità e la tecnica per misurarsi con questa sfida, ma purtroppo chi  ne scapita è il povero lettore, disorientato, la cui attenzione è messa a dura prova dal continuo frammentarsi del testo in mille diversi rivoli (ulteriore appesantimento sono le note che costellano alcuni passi dell’opera allo scopo di spiegare i termini storici e altri spunti che potrebbero risultare ostici. Nei testi di narrativa ben riusciti l’autore riesce a non introdurre note ma a spiegare quanto opportuno all’interno della narrazione e senza appesantire la stesura.
Inoltre una forma di esibizionismo fa capolino qua e là: uno sfoggio di cultura (anche questa sicuramente non comune, ma non per questo da esibirsi come un trofeo!) compiaciuto, ma improrio, una manifestazione di stile assai personale che giunge fino alla invenzione di alcune parole (niente di male, ovviamente, ma troppo), il gusto per l’iperbole… tutto ciò, che pure è sicuramente ammirevole in alcuni contesti, viene usato in maniera eccessiva, senza la giusta misura, in una prosa quasi barocca e alla fine penalizza il testo. Ed è un vero peccato perché probabilmente la storia in sé, conservando i molteplici piani temporali (a Catania, nel passato, con Maria-Elena, nel futuro), dosando maggiormente l’ironia, eliminando completamente l’esibizione della cultura fine a se stessa, potrebbe veramente funzionare e avere un tratto originale oltre che contenuti importanti, una visione anticonformista e molto ironica della umanità e della divinità.
L’autrice dimostra notevole fantasia nel disimpegnarsi nella descrizione di due Esseri, diavolo o demonio e Dio, sia pure un Dio sui generis, che comunque nessun essere umano ha mai potuto sperimentare. A cominciare dall’immagine di Belfagor, per proseguire con Dio e con Gesù, presi in giro e motteggiati con abilità e tuttavia in modo non troppo blasfemo né fastidioso (nemmeno per chi sia credente) per proseguire con la descrizione disincantata della umanità e delle sue brame, dei giovani come Salvo e dei suoi amici e compagni, il testo avrebbe alcune qualità non comuni. Soprattutto è notevole il senso ironico e umoristico che, a volte, genera un vero divertimento, sia pure venato di amarezza. Dunque all’autrice non mancano le capacità né gli strumenti per scrivere un’opera valida.
Tuttavia questa opera in particolare è penalizzata dalla sua mancanza di unità, dalla compresenza di vari stili e registri, dall’evidente autocompiacimento che il lettore avverte perfettamente e da cui è infastidito. L’autrice si lascia spesso trasportare dal piacere di narrare, dal puro divertimento in sé e perde di vista il coinvolgimento del lettore e il ritmo narrativo ne risente. Insomma a volte la storia qui narrata sembra esistere per la soddisfazione personale di chi scrive e non per un pubblico di cui tenere conto.
Il linguaggio adottato ha una notevole pretesa letteraria, è molto colto, appropriato, senza sbavature, ha un tono spesso elevato, sufficientemente evocativo, le descrizioni sono pertimenti, a volte quasi cinematografiche nella loro puntualità e precisione. Sotto questo profilo l’opera è gradevole. Lo stile è un po’ barocco e ridondante come del resto l’opera stessa come già evidenziato sopra.
All’autore non mancano le qualità di base (anche questo è già stato più volte sottolineato: buona conoscenza della lingua, capacità descrittiva, intensità narrativa) necessarie a questo scopo ma quest’opera in particolare è una sorta di spunto originale e curioso di qualcosa che potrebbe essere e non è o non è ancora. Ben difficilmente, al momento, e in questa stesura sarebbe proponibile agli editori perché, come già scritto, le caratteristiche di ritmo, ironia, “leggerezza” non sono costanti e uniformemente presenti. Queste sono qualità che l’autrice dimostra di possedere, in alcuni episodi, ma non c’è equilibrio fra le varie parti del testo.
Torna in alto