librino

La parte “terrestre” di Che minchione le formiche! è quasi esclusivamente ambientata a Librino.
Si tratta di un quartiere periferico di Catania nato intorno agli anni ’80 su progetto dell’architetto giapponese Kenzo Tange, che, abituato alle sue megalopoli simili a conglomerati di gigantesche arnie, prova a riproporne il modello.
Struttura, così, la circolazione stradale in enormi vialoni ad anelli, separati da spartitraffico che ne mutano il senso di marcia e… il nome! I risultati sono fin dall’inizio disastrosi: i suoi abitanti ricordano ancora come ai primi tempi bisognasse perfino scortare le ambulanze (o volenterosi visitatori) dall’ingresso del rione fino alle loro case, per non farli vagare come palline in un flipper secula seculorum.
Comunque, andando alle cose più serie, quel gran genio del Sol Levante non pensa minimamente che al sud Italia la gente sia abituata a girare a piedi, attraversare le strade, sedersi in piazza a scambiare quattro chiacchiere.
– Tloppe peldite di tempo. – si sarà detto.
Per cui non crea cavalcavia né sottopassaggi né tantomeno piazze.
– Cosa salebbe una piazza? – avrà chiesto ai suoi collaboratori indigeni e, dopo aver ricevuto le spiegazioni, ha ideato le rotonde.
Per quanto riguarda la bruttezza dei palazzoni anni ’80, ci hanno pensato le ditte locali, che in quanto a far le cose male non devono di certo chiedere indicazioni a nessuno, men che meno a un orientale.
Il capitolo “orrori” finirebbe qui, se poi lo Stato si fosse occupato di rendere la zona ricca di servizi. Invece, a partire dall’assenza di fognature, luoghi ricreativi, uffici di pubblica utilità… scava il baratro più profondo. A questo si è aggiunta l’occupazione abusiva di alcuni palazzi (come il “palazzo di cemento”), grazie alla
mafia e alla connivenza/assenza dello Stato, dove adesso si vive in condizioni igieniche precarie con allacciamenti alla rete idrica ed elettrica abusivi e fatiscenti, fogne a cielo aperto e un’anagrafe dei residenti inesistente. Incredibile dictu, ma qui, come nelle favelas, si hanno 30.000 abitanti ufficiali e quasi altri 40.000 abusivi! Una città nella città.
Vorrei chiudere, però, con una nota positiva. Ci sono scuole, chiese, operatori sociali e filantropi (tra cui Fiumara d’Arte) che lavorano attivamente e indefessamente nel quartiere perché un giorno lo slogan lanciato da Antonio Presti possa risultare una realtà: “Librino è bello”.

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